Una persona che delinque è punibile? Questa questione, tutt’ altro che astratta, ha percorso tutta la storia della filosofia e della criminologia. Credo che sia un fatto noto che si sia discusso per secoli (probabilmente millenni, già nel Diritto Romano ci sono tracce di questo dibattito) su questa questione, tanto che ha generato un paradosso, che più o meno suona così: “Una persona delinque perché è innata nei suoi geni questa predisposizione, oppure delinque perché il suo comportamento è influenzato dalla cultura, dall’ educazione e dall’ ambiente sociale che lo circonda? E qualunque delle due sia la risposta giusta, se sono i geni i responsabili non è colpa sua, e se è condizionato dalla società non è colpa sua. Dunque, perché punirlo?”
Questo paradosso, attribuito a Jean Jacques Rousseau, rende bene la discussione filosofica sul tema: esiste il libero arbitrio? Se il nostro comportamento è determinato da tendenze innate, oppure è determinato dall’ influenza sociale, in entrambi i casi non siamo liberi, e quindi non siamo responsabili.
Da allora ci sono stati Kant, Beccaria, Benedetto Croce, Thomas Jefferson, Abramo Lincoln, Giolitti, Bob Kennedy, Norberto Bobbio, Karl Popper, Willy Brandt e potrei elencare centinaia di filosofi, giuristi e pensatori che hanno costruito la filosofia del diritto, e che sono arrivati ad una conclusione che è peraltro la base del diritto moderno e del principio di responsabilità, cioè la base stessa della nostra civiltà: qualunque siano le tendenze innate, qualunque sia l’ educazione ricevuta, qualunque sia la cultura di riferimento, qualunque sia l’ ambiente in cui si è vissuto, qualunque sia la predisposizione genetica, OGNI COMPORTAMENTO UMANO E’ FRUTTO DI UNA LIBERA SCELTA.
Certo, il concetto di libera scelta è relativo (come tutto del resto è relativo, come sapete sono un relativista convinto), perché una scelta condizionata dalla cultura e dalle predisposizioni genetiche è libera fino ad un certo punto. Ma se non pensassimo che facciamo libere scelte, in ogni istante della nostra vita, dovremmo pensare che tutto è predeterminato e la nostra vita sarebbe già tracciata (come pensano ad esempio i giansenisti).
Ora, arriviamo a noi. Le tendenze sessuali sono innate o culturali? Sono frutto della genetica o della psicologia? Poco importa, perché le tendenze possono essere più o meno intense, più o meno forti, e possono cambiare nel corso della vita (Neve, non solo da etero a gay, ma da gay a etero, ad esempio, e c’ è anche chi cambia tendenza più volte nella vita).
Quello che conta per definire il concetto di omosessualità è ovviamente il comportamento omosessuale. Una persona che ha una certa tendenza omosessuale, ma per propria decisione (ad esempio la scelta sacerdotale) vive una vita di totale castità lo definiamo un omosessuale? Non credo. Credo che la definizione di omosessualità sia nel comportamento, le tendenze saranno sempre difficilmente definibili perché sono fatte di mille sfumature.
Qualche tempo fa è uscita una direttiva della Chiesa Cattolica secondo la quale chi ha avuto tendenze gay in gioventù non può essere ordinato sacerdote. Io ho subito pensato: “Ma che razza di decisione è? Se una persona fa il voto di castità, che abbia avuto tendenze etero o gay in gioventù è una persona che non farà più sesso, e allora che vi frega delle sue precedenti tendenze?”. Ebbene, probabilmente la Chiesa in quel caso faceva riferimento alle tendenze per definire l’ omosessualità. Ma un pensiero laico, relativista, positivista e scientista non può che ritenere che l’ omosessualità (così come l’ eterosessualità e la bisessualità)
si definisca dal comportamento. E come tale, non può che essere definita UNA SCELTA.
Questa è l’ opinione di questa parte del pensiero moderno, ma naturalmente anche l’ opinione della Chiesa o di altre scuole di pensiero è altrettanto legittima.
[Modificato da coccole2000bsx 20/06/2007 5.01]