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Che noia Dio, non deve scoprire niente!

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2007 12:01
13/07/2007 12:01
 
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Stephen Hawking
L'uomo che gioca a dadi con Dio
di Francesco Specchia


Il destino del cosmo cigola, in un’umida giornata veneta, sopra una sedia a rotelle. Se ne sta infilato in una mente potente che ha ribaltato la scienza moderna, ma avvolta in un mucchietto d’ossa fragile e sbilenche.
“Qual è la storia dell’Universo? Ci sono sette dimensioni extra rispetto a quelle conosciute, e stanno tutte in un piccolo spazio interno. La vita può essere possibile, quindi, in altre parti dell’Universo. E noi viviamo nella regione entropicamente permessa, anche se penso sempre che avremmo potuto scegliere un posto migliore”, sussurra la mente potente.

Ecco. Quando Stephen Hawking, 65 anni, l’uomo che gioca a dadi con Dio, l’erede innaturale di Albert Einstein, il cosmologo che siede a Cambridge sulla cattedra di Isaac Newton (matematica); quando Hawking, insomma, chiosa la sua unica lezione d’astrofisica in Italia - qualche mese fa al Palazzetto dello sport di Padova, noi infrattati nell'evento - la commozione vela gli occhi. E l’applauso di 4000 tra studenti da ogni dove scroscia come gli algoritmi che s’intrecciano sul suo computer. Il computer, per Hawking, è importante. Una protesi dell’anima. Da quando, a diciott’anni, brillante studente oxfordiano, gli diagnosticarono la sclerosi amiotropica, malattia che induce alla paralisi neurologica progressiva, la sua vita è incollata al pc. Hawking muove un unico muscolo facciale, dalla mandibola destra. Quando tenta di parlare gli occhi brillano ma il volto si contrae, diventa orribile e straziante come le statue mostruose dei giardini di Bomarzo; e solo con un impercettibile gioco di palpebre (ad oggi solo una palpebra, la destra appunto) che si riverbera in un cursore, egli è in grado di comporre singole frasi che si riversano nel computer che, a sua volta, le sputa fuori con un sintetizzatore vocale.

Certo, quindici parole al minuto sono poche. Mica bastano. Né per spiegare che i filosofi sono cialtroni (dice Hawking: «Non stanno al passo coi tempi, liquidano la scienza come un dettaglio tecnico; la filosofia rischia di diventare un gioco banale»); né per cancellare d’un botto i caposaldi della fantascienza («Se si potesse superare la velocità della luce, si dovrebbe anche tornare indietro nel tempo. Siccome non conosco nessuno che venga dal futuro deduco che non sia possibile…»), proprio lui che, anni fa, si divertì ad essere ospite in una puntata di Star Trek che divenne oggetto di culto tra i collezionisti. E che oggi, per quanto malconcio, scheletrico e quasi immobilizzato, rivela: “Andrò nello spazio, quest’anno ho previsto un volo atmosferico, prima di proceder a un volo spaziale in senso stretto, nel 2009”.

Né quindici parole al minuto sono sufficienti per unificare la teoria quantistica con quella della relatività. Dice Hawking: “Oggi abbiamo una teoria candidata a superare la relatività. Stiamo tentando la teoria M, una “teoria del tutto è possibile”, cioè una serie di teorie che riflettono la stessa teoria fondamentale. Noi speriamo di comprendere questa teoria ed imparare così il significato della nostra esistenza. Ma ancora la teoria M non è esprimibile direttamente, e dobbiamo ricorrere ad una serie di approssimazioni diverse. Così forse non raggiungeremo mai la fine di questa ricerca, e comprendere completamente l’universo. In qualche modo, sono contento di ciò. Dopo aver trovato la teoria ultima, la Scienza sarebbe come uno scalatore dopo aver raggiunto la cima dell’Everest. La specie umana ha bisogno di sfide intellettuali. Sarebbe noioso essere Dio, e non aver nulla da scoprire”.

Quindici parole al minuto non bastano nemmeno per affermare che il Big Bang ha lasciato dei fastidiosi refoli elettromagnetici in giro, o che “l’Universo è in espansione accelerata grazie a una forza chiamata energia oscura”. Quindici parole al minuto sono un’inezia per ancorare un genio alle inconsistenti - concordate - domande dei cronisti.
Roba tipo: cosa la ha spinta, professor Hawking, a scrivere libri di divulgazione e come pensa che questi libri le abbiano permesso di spiegare complicate teorie astrofisiche alla gente comune (Hawking, ribadiamo, è il divulgatore scientifico più letto al mondo)? Risposta, tenace: “Tutti ci chiediamo da dove veniamo, e quale sia il significato della nostra esistenza. Io scrivo i miei libri perché voglio che la gente abbia il diritto di conoscere le scoperte che la scienza fa e condivida l’entusiasmo della scoperta”. Ed eccolo che accenna ad Albert Einstein, il precursore, il modello incomparabile: “Nel 1915 Einstein introdusse la sua rivoluzionaria Teoria Generale della Relatività. In essa, spazio e tempo non sono più assoluti né uno sfondo fisso per gli eventi. Invece essi sono quantità dinamiche modellate dalla materia e dall'energia nell'universo. Esse sono definite solo dentro l'universo, così non ha senso parlare di un tempo prima che l'universo inizi. Sarebbe come cercare un punto più a Sud del Polo Sud. È indefinito. (ndr: questo vale anche per lo spazio. Non esiste al di fuori dell’universo). Si va sul tecnico, insomma. Molto tecnico. L’astrofisico riaccenna alla “materia oscura”, uno degli elementi quasi misterici su cui sta lavorando da tempo; ma cos’è la materia oscura, qual è la sua forma, e quali sarebbero i suoi componenti? E lui, con sforzo: “La materia ordinaria, di cui sono fatti i corpi celesti, costituisce appena il 5% della massa dell’universo. Un altro 25% della sua massa è nella forma di materia oscura, che produce forza di gravità ma che non possiamo vedere. Ma sembra che il 70% dell’universo sia nella forma che noi chiamiamo energia oscura, un misterioso tipo di materia che accelera l’espansione dell’universo, piuttosto che frenarla come fa la materia ordinaria e la stessa materia oscura. Probabilmente la materia oscura è fatta da deboli particelle interagenti, ma l’energia oscura è più difficile da spiegare. Potrebbe essere un campo di forze in lento decadimento oppure, come io penso sia più probabile, ciò che si chiama l’energia del vuoto. La risposta ci deve essere data dalle osservazioni, con nuove e più accurate misure”.

Le misure, i numeri le dimensioni, il flusso temporale, il prima e il dopo: sono concetti insignificanti parlando con uno che ha tentato di ricreare i buchi neri in laboratorio (al Cern di Ginevra con un acceleratore di particelle in grado di riprodurre 86.400 mini buchi neri al giorno). Ma il cronista si crede furbo. E formula una domandina semplice semplice ma stupida stupida: è possibile immaginare “il prima” del Big Bang? Risposta degna della domanda: “Chiedersi cosa ci sia dopo il Big Bang è come chiedersi cosa c’è a sud del Polo Sud; è una domanda senza senso”. Ben ci sta. E rincara la dose; aggiunge che la risposta è inconsistente non solo per la scienza, ma anche per la filosofia (“I filosofi, come dicevo, non hanno seguito il moderno sviluppo della fisica e biologia. Come risultato le loro discussioni sembrano sempre più datate e irrilevanti. Non è bene ridurre la scienza ad un puro dettaglio tecnico. Darwin, la biologia molecolare e la moderna cosmologia hanno portato un profondo cambiamento nella nostra visione di noi stessi e del nostro posto nell'universo. La filosofia dovrebbe riflettere questo cambiamento, altrimenti è solo un banale gioco di parole”). E la risposta è vacua anche per la religione, e per tutto il trascendente, l’ultimo rifugio del dubbio umano: “La scienza risponde a sempre più domande che erano di solito un monopolio della religione. La sola area restante che la religione può oggi sostenere come propria è l'origine dell'universo, ma anche qui la scienza sta facendo progressi e dovrebbe presto fornire una risposta definitiva su come l'universo sia iniziato”.
Però lo stesso Hawking si chiude a riccio, quando si accenna alla sua religiosità: “Questi sono affari personali, non li discuto”.

In soldoni. Stephen Hawking rimane il più grande genio vivente, una grande massa cerebrale ambulante che tratta piccole argomentazioni degli interlocutori come pulviscolo cosmico. Sicché, dato per scontato lo scienziato, rimane l’uomo Hawking. Cioè colui che, nonostante una fama mondiale, due moglie giovani e tre figli (l’apparato riproduttivo è l’unico che la malattia non ha ghermito) ostenta sempre uno sguardo malinconico. Rimane l’Uomo che, nel retropalco di questa giornata che racconteremo ai nostri nipoti, incrocia la sua sedia a rotelle con quelle di due fan paraplegici anch’essi; e firma loro un libro, facendosi torcere il pollice, che timbra un’impronta sulla risvolto di copertina: «Ora non fatevelo fregare», bofonchia. Ed è proprio osservando quell’Hawking, così fragile e così potente, che rimbomba la frase di Shakespeare:

«Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia sentirmi re dell’infinito spazio».

FONTE:
www.tgcom.mediaset.it


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