Mi è piaciuto molto.
Se si pensa che per la prima volta Ozpetek ha preso una sceneggiatura fornitagli bella e pronta per la quale il produttore Procacci cercava un regista, direi che ha saputo rendere bene il dramma di un uomo che si sente un fallito perchè ha perso la famiglia e di una donna sciatta e imbruttita che forse inizia a vivere proprio con la fine del matrimonio. Per la parte di lei, il regista aveva pensato alla Golino in un primo tempo, ma dato che quest'ultima era impegnata si è spostato sulla Ferrari, fatta ingrassare di 9 chili e vestita con "un budget di 25 euro" come lui stesso racconta.
La Guerritore poi è molto intensa come sempre e mi è sembrata una scelta interessante sostituire il professore gay del libro con una professoressa etero, concubina e sola come tutte le amanti sanno esserlo. D'altronde il regista ha voluto spezzare un po' le catene del parlare solo della comunità gay riunita intorno ad una tavolata con le storie intrecciate le une con le altre.
Resto un po' perplessa invece per la scelta di inserire un personaggio che nel libro non c'è e nemmeno nella sceneggiatura: la Finocchiaro che sembra avere il solo ruolo di fare da trait d'union tra i vari personaggi, forse perchè a volte il destino ci unisce senza che noi ne siamo consapevoli? Non saprei ma penso fosse un po' inutile nell'economia del film, in un tentativo di alleggerire una trama, un argomento che niente e nessuno può alleggerire: la tragedia di un uomo finito che porta via tutto alla donna che ritiene responsabile del suo fallimento, come solo un vigliacco sa fare e come le cronache ogni giorno ci raccontano.
La scelta di Mastandrea è stata più istintiva, a detta di Ozpetek, visto che è bastata un gesto di lui, intercettato dal regista, per fargli dire "è lui": pare che in Sardegna durante una manifestazione dedicata al cinema, una sera Mastandrea seduto al tavolo con Ozpetek, si sia alzato improvvisamente per ricoprire lo slip della fidanzata che all'improvviso era spuntato dall'orlo dei pantaloni. E questo gesto di gelosia ha portato ad una scelta che ritengo, a differenza di altri, molto opportuna. Mastandrea parla poco e dice molto invece con lo sguardo, soprattutto in macchina poco prima di aggredire la Ferrari nel canneto (chiaro omaggio del regista a Rocco e i suoi Fratelli). Sarà che apprezziamo l'arte in generale per quanto questa tocchi delle corde particolari in noi, per quanto in essa ci identifichiamo e personalmente mi ha inquietato quello sguardo, quel passare da un tono dolce e quasi supplichevole alla rabbia più accecante; sarà che in prima persona anni fa ho subito le ire del mio ex convivente che si comportava allo stesso modo ma mi è parso quasi di vederlo quel velo opaco che offuscava gli occhi di lui prima che la sua ira sgorgasse. E che dire delle scene finali dove la tragedia annunciata comunque ci colpisce nella sua devastante realtà, nel vedo e non vedo delle povere vittime.
Direi che una visione la merita.
6+